SOP – Senza Obsolescenza Programmata

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“Vi siete mai chiesti perché certi giocattoli si rompono subito? Perché è così faticoso trovare pezzi di ricambio per un elettrodomestico? Perché il computer che avete in casa dopo pochi mesi è già diventato un pezzo da museo?… Il ragionamento è impietoso ma chiaro: sembra che il sistema economico che regola la nostra società stia in piedi solo se si continua a “consumare” senza sosta e per avere la certezza che ciò avvenga occorre creare il “bisogno”, la “necessità”. Quindi, cosa c’è di più efficace del mettere a disposizione dei consumatori oggetti pensati e realizzati per durare poco, in modo che vengano costantemente ricomprati?”

“L’obsolescenza programmata o pianificata (in inglese: planned obsoloscence o built-in obsolescence) in economia industriale è una politica volta a definire il ciclo vitale (la durata) di un prodotto in modo da renderne la vita utile limitata a un periodo prefissato. Il prodotto diventa così inservibile dopo un certo tempo, oppure semplicemente “fuori moda”, in modo da giustificare l’entrata nel mercato di un modello nuovo”. L’obsolescenza colpisce tutti i campi della produzione industriale, dagli smart phone alle automobili, dal vestiario all’edilizia e, quest’ultima tra le più evidenti, è facile da scorgere nelle cicliche ed infinite ristrutturazioni di strade ed opere pubbliche.

Il termine “obsolescenza pianificata” è comparso per la prima volta nel 1932 quando Bernard London, mediatore immobiliare, affermo che tale pratica dovesse essere imposta alle aziende per legge per risollevare l’economia e i consumi in seguito alla Grande Depressione scaturita dalla crisi del 1929. Il concetto tuttavia si sviluppò precedentemente, già nel 1924 una lobby dei principali produttori di lampadine, il Cartello Phoebus, creò una linea standardizzata di lampadine ad incandescenza dalla durata pianificata di mille ore circa. Dal mondo delle lampadine è sorto l’incubo della obsolescenza programmata, un incubo ancora inconsapevole agli occhi di molti che ancora credono di avere colpa di non sapere come utilizzare quella dannata tecnologia che, un mese si e uno no, gli si sgretola tra le dita. Tuttavia ci sono segni di speranza. Se è vero infatti che la pratica è sorta dal mondo delle lampadine quasi cent’anni fa, oggi, da esso riparte la rivoluzione, con una coscienza sociale che si va sempre più delineando anche nel mondo dell’imprenditoria moderna, dove troviamo personaggi come Benito Muros, fondatore del Movimento SOP (Senza Obsolescenza Programmata).

Dopo 9 anni di ricerca con una squadra di circa 20 ingegneri di fama mondiale ha sviluppato infatti la prima lampadina che non genera rifiuti ma garantisce un risparmio energetico fino al 92% e una riduzione delle emissioni di CO2 fino al 72%. Una lampadina capace di durare 25 anni e vendicare finalmente la propria memoria infangata, l’obsolescenza scaturita dai suoi antenati.

Il più grande effetto collaterale dell’obsolescenza non è tuttavia l’aumento dei consumi e dei profitti. Non è neanche la perdita dei risparmi di numerose famiglie costrette a rinnovare i propri mezzi di continuo. Purtroppo la più grande conseguenza di questa pratica è la perdita totale della resilienza dei beni, lo sviluppo di una cultura dell’obsolescenza e del rinnovo sfrenato, al fianco di uno sperpero di materiali incommensurabile. Qualche giorno fa c’è stato infatti l’Earth Overshoot Day, ovvero il giorno in cui la terra ha esaurito completamente le risorse che il pianeta ha prodotto per il 2013, e mancano ancora 4 mesi alla fine dell’anno. Ciò significa che con lo stato di consumi attuale per sfamare la terra servirebbero le risorse offerte da una terra e mezzo; per sfamare la Cina le risorse di 2,5 Cine; per l’Italia servirebbero 4 Italie e per Il Giappone 7 Giapponi. Sono oggi poche le realtà che conservano o hanno deciso volontariamente di recuperare e valorizzare i vecchi mestieri. Un piccolo esempio, passeggiando per le vie di Totnes e altre realtà simili è possibile vedere ancora i calzolai, e notare come le persone, piuttosto che buttare un paio di scarpe quando si rompono e comprarne delle altre, decidono di aggiustarle e dargli nuova vita.

GLA; MV.
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