San Pietro, Santu Predu, il cuore di Nuoro. “È il campo aperto dove la civiltà incipiente combatte una lotta silenziosa con la strana barbarie sarda”, scriveva Grazia Deledda, premio Nobel cui la città ha dato i natali. In questo quartiere, i cui scorci raccontano gli autori che fecero della città l’Atene sarda e gli autori raccontano attraverso le mura, si trova Casa Moro, un esperimento di accoglienza senza precedenti.
Com’è nata quest’esperienza? Chiedo a Barbara Sanna dell’associazione Nuoro Migrantes.
Un primissimo nucleo di cittadini nuoresi si sono incontrati a un corso di formazione per operatori sull’immigrazione. Un gruppo dalle varie competenze, che riuniva dall’insegnante d’italiano all’avvocato, dalla commerciante alla mediatrice. Una comitiva eterogenea con una spiccata sensibilità.
Terminato il corso, una mailing list continua a riunire queste persone. Qualcuno solleva l’attenzione su ciò che succede in città: “Avete notato quanti ragazzi sono per strada?”
Il numero crescente di giovani senza tetto desta la loro attenzione e li preoccupa. Nasce dunque un bisogno: quello di fare qualcosa. Il gruppo inizia a riunirsi settimanalmente, si incontrano ogni martedì alle 19,30 nella sede di Sud Equo, in via Mereu.
All’inizio, dice Barbara, non pensavamo minimamente che il progetto sarebbe poi diventato Nuoro Migrantes, volevamo offrire una rete di emergenza. Ricordo di 13 ragazzi somali arrivati in questura, erano un po’ smarriti, non avevano un posto dove andare. Abbiamo raccolto sacchi a pelo, portato loro delle pizze e, mentre cercavamo di raccogliere un po’ di soldi per i loro biglietti, è arrivato un ragazzo senegalese. Si è avvicinato, voleva darci una mano. Ha raccontato cosa stava succedendo alla comunità senegalese di Nuoro. E’ tornato con una colletta per aiutare i ragazzi e tutti insieme ce l’abbiamo fatta.
Cosi abbiamo iniziato, di volta in volta, a dare una mano, a fare quello che potevamo. Una volta con un posto letto, una stanza per una notte, un biglietto. Ci siamo dunque chiesti: “Come fare per arrivare ai nuoresi?” Abbiamo parlato con Don Tottoni, che a fine messa ci introduceva per raccontare il nostro progetto. Cosi chiedevamo se qualcuno volesse accoglierli in famiglia, o avesse una casa da donare per un periodo di tempo in cambio di lavori…”
Dovete sapere che sono tante le case a Nuoro, e come a Nuoro in tanti paesi d’Italia, che sono vuote, chiuse a cadere in rovina. L’Ansa ne ha contate ben 7 milioni, facendo una media significa che il 22,5% delle case in Italia non sono abitate, con una concentrazione maggiore nelle regioni del Sud. Fra queste case, c’era anche casa Moro.
La famiglia Moro ha accolto il nostro appello, ci ha donato la propria casa con un contratto di comodato d’uso per due anni, senza chiedere niente in cambio se non i lavoretti che servivano per abitarla. Con le donazioni raccolte abbiamo dunque creato un fondo cassa da destinare ai materiali, mentre un gruppo di muratori albanesi ci ha donato tempo e manodopera. Noi donnine ci siamo rimboccate le maniche, allacciate luce e acqua, in due giorni la casa è stata abitata.
Quanti posti letto ci sono a casa Moro e come vi organizzate per gestire il tutto? Chiedo a Barbara.
La casa ha sette posti letto. Ingenuamente pensavamo di fare la spesa ogni settimana e dire agli ospiti di autogestirsi. Mano a mano che siamo andati avanti abbiamo capito che era necessario destinare una persona che si prendesse cura degli ospiti, offrendo un contatto di riferimento e di mediazione. Abbiamo dunque ottenuto il finanziamento comunale “Nè di fame, nè di freddo”, un bando finalizzato a realizzare azioni di contrasto alla povertà. Fra questo e le donazioni, abbiamo potuto introdurre le figure professionali necessarie alla gestione della casa.
Barbara accompagna gli ospiti in questura, segue i loro casi uno per uno, la gestione della casa, è un vero e proprio filtro sulla società che traduce la realtà nuorese agli ospiti e gli ospiti alla realtà nuorese. Racconta: “Molte persone sapendo che la mattina sono a casa Moro, si sentono più libere di passare a salutare, di venire a bere un caffè. La mia presenza rassicura e fa da tramite…”
I ragazzi vanno a scuola tutti i giorni, seguono le lezioni di italiano e, sulla base dei loro interessi, vengono orientati e sostenuti dall’associazione ad intraprendere diverse attività di formazione. Rano ha da poco concluso un corso di pizzaiolo, Kabiru sta facendo un corso di potatura. Hassan si è iscritto agli scout, ha socializzato con i ragazzi della sua età ed è felicissimo.
Dixon è stato preso in prova presso un’azienda agricola. Gli insegnano il mestiere, si sveglia alle quattro sta lì fino alle sei, si fa una doccia e poi segue le lezioni serali per prendere il diploma alla ITC Chironi. Quando gli ho chiesto: “Ma con tante cose da fare la scuola passa in secondo piano? Mi ha risposto: “No, voglio finire quest’anno, sono talmente contento che le energie le trovo.”
Jasper non parla del suo passato e della sua famiglia, non esprime particolari esigenze, ma partecipa al corso di teatro.
Tutti i ragazzi sono stati coinvolti infatti in un esperimento di dialogo e creazione, che coinvolge migranti e locali in un laboratorio teatrale. Teatro T è alla regia di quest’incontro, e tra giugno e luglio avremo modo di vedere l’esito teatrale dell’esperienza.
Gli ospiti di casa Moro sono scappati o stati espulsi dai centri d’accoglienza, sono ragazzi che hanno ottenuto i documenti e hanno bisogno di organizzarsi il viaggio, ma non hanno un posto dove farlo. Sono ragazzi che per varie ragioni sono ancora bloccati qui, non possono tornare a casa, non possono partire e hanno bisogno di un luogo tranquillo in cui poter organizzare il proprio piano di vita.
Casa Moro è un trampolino di lancio per chi vuole partire e un porto sicuro per chi vuole restare. Diamo una mano con i biglietti e contattiamo le associazioni nelle città in cui ragazzi sono diretti, sia per offrire loro accoglienza che per proseguire nella loro formazione. La casa è aperta a tutti, non solo ai migranti, ma anche ai locali che dovessero averne bisogno: Casa Moro è per chiunque abbia una situazione di emergenza.
Quante persone sono transitate per casa Moro dalla sua apertura?
In quest’anno di attività sono transitate una quarantina di persone, anche solo per una notte. Siamo rimasti in contatto con pochi. Alcuni ragazzi rumeni in fuga dalle campagne, tornati a casa, ci hanno scritto. Un ragazzo somalo ha raggiunto la mamma in Germania, ci ha inviato una lettera molto emozionante. Altri sono partiti di fretta, nessuno ha mai pensato che fosse per cattiveria o perché non gli siamo piaciuti, ma perché quando devono andare l’esigenza è raggiungere la loro destinazione. Casa Moro è spesso il luogo per rifocillarsi dal trauma del viaggio, in cui assestarsi e da cui ripartire.
A Nuoro, proprio in questi giorni, la prefetta ha rilanciato l’idea e la necessità di evolvere in meccanismi di accoglienza SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) per rispondere all’esigenza di creare un dialogo fra ospiti e cittadini, offrendo un’accoglienza dignitosa. Molte sono le polemiche a riguardo. Eppure mi pare che a Nuoro, forse all’insaputa di molti, si stia realizzando un modello virtuoso a livello nazionale. Qual è stata la reazione di Santu Predu all’apertura di casa Moro? Chiedo a Barbara.
Il quartiere ha risposto bene, lo vediamo dalle piccole cose di ogni giorno. All’apertura di casa Moro abbiamo realizzato un incontro molto partecipato, abbiamo presentato i ragazzi e il quartiere. E’ stato bello perché il dibattito era animato da domande come: “Ma loro parlano italiano? Ma possiamo avvicinarci a portare qualcosa?” Da allora le signore del quartiere si affacciano con una torta, se li vedono in piazza si fermano a salutarli, li hanno un po’adottati.
Sulle mura di casa Moro una citazione di Grazia Deledda: “Che fatti che conta, zio Predu! Proprio sta sera che si dovrebbe stare allegri!”
A casa Moro si respira allegria. A questo punto, se la vostra domanda fosse: “Possiamo venire a trovarvi? Sappiate che la risposta di Barbara è: “Certo che si, potete venire quando volete, sentitevi liberi di passare a trovarli o invitarli a giocare a calcetto”.