Se volessimo affrontare la questione in modo lineare – e dunque necessariamente riduttivo – potremmo considerare le svariate forme della nuova didattica e dell’educazione 2.0 e studiare come esse vengano calate dagli insegnanti all’interno della realtà scolastica: si potrebbe illustrare la potenzialità del learning by doing a fronte della didattica tradizionale (come anche, per procedimento inverso, le funzionalità della didattica tradizionale rispetto al learning by doing); spiegare in che modo e grazie a quali strumenti la quotidianità entra all’interno delle dinamiche di classe o come un insegnante può fruire di materiali e documentazione – meglio se digitale/multimediale/multimodale – per offrire il meglio del meglio ai propri studenti; analizzare in quanti e in quali modi le TIC entrano a far parte delle programmazioni di classe e sintetizzarle a mo’ di elenco suddividendone punti di forza e di debolezza rispetto a ogni singolo ordine di scuola/grado scolastico.
Ma sarebbe improprio – sebbene accattivante – decisamente sbagliato, assolutamente impreciso e per giunta, alla lunga, estremamente noioso. Non mancheremo di farlo, in futuro, poiché il viaggio all’interno delle tecnologie didattiche digitali e non digitali è incredibilmente (e questo sarà l’ultimo avverbio in –mente, ve lo assicuro) dinamico, vivace, innovativo, è un viaggio tanto avventuroso quanto entusiasmante. Prima di trattare tali argomenti, però, è necessario analizzare con più attenzione il quadro teorico a cui gli insegnanti fanno oggi riferimento, quali sono gli ambienti d’apprendimento e come è possibile programmare degli interventi educativo-didattici realmente funzionali per rispondere ai B.isogni E.ducativi (S.peciali e non) degli alunni appartenenti a quel microcontesto sociale che in un giorno non troppo lontano – è già ora – costituirà la società contemporanea.
Ragionare nell’ottica della complessità per parlare di questo tema è necessario.
Il rischio maggiore è che ragionare secondo una logica lineare in un contesto più degli altri caratterizzato dal paradigma della complessità oltre ad essere già errato a livello concettuale possa risolversi in quello che nel mondo della didattica può essere considerato l’abominio per eccellenza: la ricettina. Per sviluppare il tema delle social innovations in ambito educativo e apprezzarne l’importanza c’è bisogno prima di tutto di cancellare l’idea di modelli preconfezionati, di rapporti causa/effetto, delle TIC come tecnologie sostitutive della programmazione elasticamente stilata dall’insegnante; bisogna comprendere che esiste una professionalità legata all’essere insegnante e che non basta applicare una stessa strategia per ottenere uno stesso risultato, poiché la rete formata dalle relazioni sociali e dai differenti ritmi d’apprendimento e dai diversi livelli di successo e dalle competenze affettive degli alunni o dell’insegnante e dalle risposte cognitive dei bambini in contrasto alle proposte dell’insegnante (…) modifica l’ambiente in cui l’insegnante si trova di volta in volta ad operare – e dunque la qualità dell’istruzione dipende in gran parte da come l’insegnante modula l’offerta formativa, ponendosi non più come divulgatore di conoscenza ma come moderatore situazionale; c’è infine da sottolineare (e per quanto questo risulterà ovvio per chi legge mi preme evidenziarlo) che non basta seguire corsi sull’alfabetizzazione digitale o sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per offrire una didattica 2.0: banalmente, non è nell’uso del visual thinking la risposta, ma nella motivazione che mi porta a scegliere il visual thinking e contestualizzarlo all’interno della specifica situazione didattica.
L’assunto di base per comprendere la didattica nova e l’importanza delle social innovations in campo educativo è prendere coscienza di una realtà in perenne mutamento, di un sapere che non si presenta più come statico ma come incredibilmente dinamico, di un sistema complesso in cui ognuno di noi non è più semplicemente artefice del proprio destino ma è perennemente coinvolto all’interno di una fitta rete di relazioni – e in effetti il termine “complesso” qui utilizzato non è da intendere come sinonimo di “complicato/arduo/difficoltoso” ma da comprendere nella sua accezione più naturale, ovvero sinonimo di “multiforme”.
Le social innovations in educazione – e, più in generale, le tecnologie didattiche – hanno tracciato un importante solco tra l’insegnamento ex cathedra e la sua nuova concezione. Non si può più pensare semplicemente di utilizzare la multimedialità per variare la didattica: il digitale si abita, è ormai da considerare come una dimensione dell’essere. In questo modo – e solo così – sarà possibile ripensare al ruolo dell’educazione all’interno della vita sociale, alla sua importanza per il raggiungimento di competenze che permettano all’individuo qualsiasi di conquistare con successo obiettivi quali la piena realizzazione del sé, l’inclusione sociale e un ruolo attivo nella propria comunità di appartenenza, locale o globale.
Raggiungendo tali competenze – qui da intendere come quell’insieme di conoscenze, abilità e attitudini che permettono a un individuo di affrontare le situazioni del quotidiano – sarà possibile azzerare le percentuali di dispersione scolastica e abbassare quelle di analfabetismo funzionale.
Il lifelong learning sarà realmente attuato e attuabile all’interno dei contesti sociali e realmente le social innovations contribuiranno a creare sviluppo nelle comunità.
Scritto per TIXE Magazine