EDITORIALE DOMANI – All’indomani della Prima Guerra Mondiale e della pandemia di “spagnola”, il 21 gennaio 1921 Antonio Gramsci fondava il Partito Comunista. A un secolo di distanza, dalle derive del nazional-socialismo agli estremismi sovran-populisti, il suo pensiero torna più attuale che mai per affrontare le enormi sfide geopolitiche, democratiche, editoriali ed economiche legate all’erosione delle libertà di stampa e alla crisi del giornalismo globale ma, soprattutto, per scongiurare il ripetersi dei fatali errori del passato.
Dopo il devastante impatto della pandemia, l’avvento del 2021 apre una decade decisiva per la libertà di stampa. Per Reporters Sans Frontiers, Il futuro del giornalismo e della democrazia sono oggi messi in discussione dalla crisi dell’informazione, presa tra la rivoluzione digitale e la crescente influenza di regimi autoritari e movimenti estremisti di matrice sovran-populista (v. Alt-Right e QAnon). Con la diffusione massiva di notizie false e di teorie complottiste e anti-scientifiche, si è creata una grave distorsione cognitiva nella capacità di interpretare la realtà da parte dei cittadini.
Nel mezzo della recessione economica e delle crescenti tensioni sociali e geopolitiche, l’inquinamento del dibattito pubblico sta polarizzando le opinioni e delegittimando istituzioni e media, sempre più intesi come un’elite corrotta. Emblematico fu il caso delle elezioni Usa 2016 vinte da Trump, quando il flusso di bufale superò quello di notizie vere, ingannando circa il 75% dei lettori.
Un simile scenario riporta inevitabilmente agli anni ‘20 del secolo scorso, all’indomani della Prima Guerra Mondiale e della pandemia di “spagnola”. Lo Stato di diritto era vulnerabile, l’editoria a rischio, la politica e i media erano descritti come “imborghesiti” e l’opinione pubblica si districava tra analfabetismo e menzogne sistematiche. Terreno fertile per la presa di potere di forze anti-democratiche. In questo quadro, il 21 Gennaio 1921, alla vigilia dei trent’anni, Antonio Gramsci prendeva parte alla fondazione del Partito Comunista d’Italia. Al tempo il pubblicista sardo si distinse nei movimenti del nord industriale per l’attenzione posta sulla “questione meridionale” e per il “gradualismo” con cui approcciava la rivoluzione comunista.
Nel porre la cultura al di sopra di ogni presupposto economico-militare, maturò una filosofia organica che lo ha reso uno tra i cinque italiani più citati della storia, i cui insegnamenti ritornano oggi più attuali che mai per superare le difficoltà del giornalismo moderno e scongiurare il ripetersi dei fatali errori del passato.
Di Gian Luca Atzori e Luca Pirisi
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