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Cervelli in fuga – Le risposte di energia, ricerca e crowdsourcing

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Gli italiani hanno dato tanto al mondo. Galilei, Da Vinci, Marconi, Montessori, Fermi, Levi Montalcini. Sono solo alcuni dei più famosi grandi geni e inventori italiani conosciuti all’estero.

Oggi, secondo il Centro Studi e Ricerche Sociologiche “Antonella Di Benedetto”, l’Italia può vantare solo 259 “geni” ovvero persone con con 4 lauree magistrali o più. Questo risultato è il più basso in Europa, ma non solo, la maggior parte dei nostri geni, come risaputo, lavora all’estero. Per la precisione il 35% dei migliori 500 ricercatori abbandona il nostro paese. Come se non bastasse, secondo i dati dell’Ambasciata Italiana a Londra risulta che “il sistema inglese giudica per il 70% superiori come formazione i laureati italiani che approdano nel Regno Unito.” Secondo i risultati del bando europeo Consolidator Grant 2013, gli scienziati italiani “sono tra i più bravi del continente, secondi solo ai colleghi tedeschi.” L’Italia sforna talenti di classe insomma, che finiscono poi per contribuire al benessere di altri paesi. Dati che fanno riflettere se consideriamo che ogni laureato “costa” al paese 124 mila euro per la sua formazione.

L’algoritmo di Google, il mantello dell’invisibilità della Cornell University, il drugs-tumor di Lavaro, sono solo alcune delle invenzioni italiane all’estero. Brevetti persi per un valore di 4 milardi nell’ultimo ventennio. Ciò è anche comprensibile alla luce dei dati di bilancio, l’Italia infatti investe solo l 1,3% del PIL in ricerca e innovazione, un dato in calo contro l’obbiettivo europeo del 3%.

I geni italiani sono molto famosi anche al livello di innovazione energetica, in particolar modo nel campo delle rinnovabili. Anche qui è quantomeno paradossale vedere come la Deutsche bank e la Columbia University appuntino come “rischiosi” gli investimenti in energie rinnovabili in Italia. Il loro studio spiega perché “l’Italia sia ben lontana dal centrare i suoi obiettivi per il 2020, ovvero raggiungere quota 17% di energie rinnovabili sul consumo totale”. Non è però difficile capire il perché. Palazzetti nel 1973 ideò per la Fiat il primo esempio di cogeneratore capace di recuperare fino al 90% dell’energia dispersa. Un apparato che oggi è possibile reperire da Volkswagen, Totyota e Mitsubishi, non certo dalla Fiat. Il premio Nobel per la fisica Rubbia ha invece progettato “Archimede” un impianto solare rivoluzionario, ma dopo le polemiche sul nucleare è stato allontanato dal Centro Enea dal ex-ministro Gelmini ed è stato sostituito da un ingegnere dalle dubbie credenziali. In Germania invece grazie al rinnovabile sono stati creati 270mila nuovi posti di lavoro.

Si sente parlare tanto di crescita e di valorizzare il merito e il sapere, ma è evidente che i governi che nell’ultimo ventennio hanno decurtato il campo della ricerca e delle energie, non lo intendessero davvero.

L’Ungheria ha una soluzione personale al problema, che punta sul costringere chi va all’estero a rimborsare il costo degli studi. Una soluzione estrema che indebiterebbe chi è intento a partire e che non considera come le persone dovrebbero tornare per scelta e non per costrizione, cosa per altro controproducente se poi mancano le basi per la loro futura carriera. Un’azione, quella ungherese, che per altro è molto simile agli strumenti regionali utilizzati in alcune zone di Italia, che garantiscono borse di studio all’estero con la clausola di ritorno pena rimborso spese.

E’ importante però anche chiedersi se sia possibile che senza il supporto dello Stato le comunità locali e le regioni possano davvero fare la differenza. Fortunatamente, gli esempi anche in questo caso non mancano. Uno in particolare è l’idea del Social network dei cervelli in fuga, nata da iovogliotornare.it e poi ripresa dall’ex-ministro Terzi (innovaitalia.net) e dalla Agenzia Umbria Ricerche (Brain Back). Si tratta di progetti che innanzitutto raccolgano dati difficilmente reperibili, in quanto buona parte degli emigrati italiani non è iscritta all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, e che mirino a creare una rete di cervelli che non solo si tenga costantemente informata sulle opportunità in patria ma che ne crei di nuove e contribuisca all’organizzazione di eventi e forum tematici. Soprattutto, il progetto, tramite il crowdsourcing (ovvero la raccolta di idee), cerca di far si che gli emigrati continuino a “lavorare” per il proprio paese a distanza. Iniziative di questo tipo possono essere sfruttate anche dai comuni e potendo essere organizzate al livello locale e regionale o addirittura per sviluppare e finanziare le idee dei nostri talenti.

Il problema della fuga dei cervelli al livello nazionale si dirama da una radice comune allo spopolamento dei piccoli comuni, si emigra alla ricerca di nuove opportunità, e spesso non lo si fa per curiosità, ma per disperazione. Per questo anche le comunità locali e gli enti regionali possono fare tanto attraverso adeguate politiche di ripopolamento e occupazione, o attraverso investimenti volti a valorizzare l’economia locale e ripristinare il senso di comunità e appartenenza. Sono le comunità locali in fondo a far crescere realmente i cittadini, a dargli l’imprinting della società in cui vivranno, e a dovergli fornire un vero motivo per cui tornare che non sia puramente economico.

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