il mondo: uno è il cibo, l’altro è la cultura. Siamo infatti il 5° Paese più visitato al mondo, il turismo è un settore chiave della nostra economia e, al suo interno, quello culturale pesa oltre il 30%, con più di 2 milioni di occupati.
L’Italia è un Paese “a museo diffuso”, uno ogni 13mila abitanti, circa il triplo della Francia. Disponiamo di 4.588 tra musei, aree archeologiche e monumenti, ma la verità è che la maggior parte del nostro patrimonio non è calcolato perché non valorizzato. Basti pensare che solo in Sardegna vi sono più di 7.000 nuraghi, senza contare le leggendarie case delle fate, menhir, betili, dolmen, pozzi sacri e tombe dei giganti.
Secondo l’Ue “la cultura è il nostro petrolio, ma ce ne freghiamo”. Siamo all’ultimo posto in Europa per la spesa in cultura, la figura dell’archeologo non è tutelata e ignoriamo la Convenzione europea per la salvaguardia del patrimonio. Nel 2012, abbiamo rimandato indietro più di 2 miliardi di fondi Ue riservati a migliorare l’offerta culturale nel sud. Quello del turismo culturale è un settore che presenta un trend di crescita che pare non conoscere flessioni, eppure è stato a lungo snobbato, portando zone ad alto potenziale turistico, come il Mezzogiorno, ad investire su di un’industria rivelatasi poco competitiva, lasciando lo sviluppo turistico e culturale in balia degli eventi.
Il crollo di Pompei ne è un esempio eclatante, solo nel 2013 è stato varato un piano di recupero atteso da 30 anni. Tuttavia Pompei, rispetto a gran parte dei siti sardi, potrebbe essere definito come un fiore all’occhiello della manutenzione. Non solo il patrimonio nuragico crolla su se stesso, ma viene spesso vandalizzato o peggio usato come discarica. Non c’è la volontà di investire, né di scavare o di tutelare, e le poche attrattive curate non sono adeguatamente promosse.
Il complesso nuragico Su Nuraxi di Barumini è il più grande dell’isola, patrimonio Unesco e luogo in cui alcuni studiosi hanno riconosciuto le rovine di Atlantide. Pensate però che ci sono zone come il Marghine-Goceano che, rispetto a Barumini, presentano la più alta densità di emergenze archeologiche (0,50 per kmq), quasi tutte monumentali. In queste zone sono state svolte indagini topografiche, ma non ci si è mai adoperati per scavare, salvaguardare o promuovere gran parte dei siti. Su Nuraxi tuttavia, grazie all’impegno della Fondazione Barumini, viene tutelato ed è visitato ogni anno da 100mila persone. Perché però Barumini attrae appena un sesto della Valle dei Templi? Perché i soli principali musei statali di Londra attraggono il 73% degli ingressi totali nei nostri 420 istituti pubblici?
La risposta pare evidente, e non sorprende vedere che gli scarsi investimenti non siano altro che lo specchio di un’incerta capacità amministrativa, di una mancata digitalizzazione e apertura verso l’esterno. Solo il 50% dei musei ha un sito web, solo 16% di loro è attivo nelle community e solo il 40% ha personale che parla inglese. Il turismo rappresenta il 50% dell’e-commerce italiano, eppure siamo tra i meno informatizzati d’Europa. Secondo la Oxford Economics, se sviluppassimo l’economia turistica investendo sui contenuti online e allineandoci con la media europea, il Pil crescerebbe di circa l’1% e la domanda turistica del 10%, un dato quantificabile in circa 250mila nuovi posti di lavoro.
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