Uscire dal perenne stato emergenziale, per delineare visioni realistiche e partecipative. Rompere la narrazione depressa e disfattista dei nostri tempi, per ridare spazio e attenzione a quelle storie virtuose che riempiono la quotidianità di impegno e dedizione. Convertire rabbia e diffidenza, in energia positiva e inclusiva, in passione e azione.
In queste poche parole si possono racchiudere le esigenze e le potenzialità di numerosi territori d’Italia e d’Europa. In ogni angolo del nostro Paese, tra le migliaia di micro comuni a rischio spopolamento e estinzione, nelle metropoli congestionate e frammentate, tra le campagne abbandonate o cementificate, è necessario un cambio di paradigma. Superare il sistema di alimentazione delle aspettative e di delega delle decisioni, per anni incardinato nei soli meccanismi della rappresentanza partitica o di categoria ed oggi prima fonte di frustrazioni e disuguaglianze, per passare a un nuovo schema di costruzione collettiva delle prospettive. Un approccio partecipativo in cui i cittadini, nelle loro mille vesti di studenti e professori, lavoratori e imprenditori, soggetti razionali e relazionali, giochino un ruolo nella composizione del mosaico che è la società del futuro.
Per dare concretezza a tale processo sicuramente non esiste una formula unica e perfetta. L’unica certezza è la necessità di far fronte all’attuale crisi, interpretandola per quello che è: il momento non più procrastinabile di prendere delle decisioni. Affrontare gli attuali problemi ambientali, economici e sociali continuando ad aggrapparci ad un passato non più sostenibile e lamentandoci della sua inappropriatezza o lasciare spazio alla sperimentazione di nuove soluzioni produttive e di consumo. Concentrare le nostre forze vitali nella ricerca di capi espiatori e colpevoli, a cui attribuire i mali del mondo e le nostre paure, o investirle nella costruzione di una coscienza collettiva che chiarisca la complessità del presente e favorisca l’emersione di alternative realizzabili.Se questa è la nostra evidenza inconfutabile, come già detto, le strade per realizzare il cambiamento possono essere molteplici. Si potrebbe lavorare nelle scuole per incubare nuovi modelli di formazione e informazione, come il monitoraggio civico. Promuovere progetti di integrazione socio-sanitaria, favorendo la collaborazione tra pazienti, terzo settore e istituzioni. Condurre una mappatura per trasformare lo spopolamento da crisi ad opportunità. Stimolare la nascita di reti di impresa con l’ausilio di circuiti e monete complementari. Far incontrare i linguaggi della scienza e dell’arte, per dare all’accademia il pubblico che gli articoli scientifici non veicolano e al mondo della creatività i temi per essere sempre attuale e funzionale alla crescita della società.
Si potrebbero fare tutte queste iniziative singolarmente, oppure cercare di metterle a sistema con tutte le altre idee virtuose di cui il mondo è pieno, collegandole magari alla riflessione strategica della programmazione europea. Si potrebbe quindi ideare un festival, chiamandolo Festival della Resilienza, e organizzarlo in un prezioso ma sofferente territorio della Sardegna, ritenuto morente e senza prospettiva dai suoi stessi abitanti. Pianificarlo sull’asse Roma-Pisa-Pechino e farlo diventare una settimana di laboratorio dinamico, con numeri interessanti: 1 serata di beneficienza, 2 giornate di Brainsurfing, 10 eventi culturali, 15 workshop tematici, 30 volontari, 50 organizzazioni partner, 60 artisti, 110 ospiti pernottanti, 250 kg di cibo donato dalla comunità, 500 metri di murales, 800 GB di materiale audio-visivo, 6000 ore di progettazione, 15.000 euro di valore prodotto sul territorio ed un patrimonio umano e relazionale incalcolabile.
In sostanza, in Italia non mancano casi di esempi virtuosi da cui partire per affrontare e risolvere i nostri annosi problemi. La vera sfida è però quella di mettere a sistema queste esperienze in un modello che risulti semplice e flessibile, di modo da facilitarne la replicazione in tutti gli angoli del Paese. In tale ottica, il Festival della Resilienza 2017 vuole rappresentare un momento di maturazione e incubazione di tali processi, in cui collegare il mondo della scienza e quello dell’arte, della scuola e dell’imprenditoria, dell’accademia e della società civile, intorno alla sfida di supportare lo sviluppo socio-economico delle comunità locali. Un esperimento in continua evoluzione, incentrato sull’economia della condivisione, senza finanziamenti certi, per la cui riuscita chiameremo a raccolta tutti coloro che vogliono contribuire a rigenerare dal profondo la nostra società.
A tutti questi pionieri, innovatori, cittadini ci rivolgiamo con un’unica certezza: se siamo disposti ad affrontare i problemi con la giusta consapevolezza, oltre la tossica assuefazione da emergenza permanente, non esistono confini alle nostre possibilità. Servono soltanto idee valide, un minimo di organizzazione e una buona dose di spirito ProPositivo.
Foto: Fabio Sau
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